Nel fatidico anno 2000 accadono due fatti apparentemente slegati tra loro, ma che sono destinati a segnare l’identità primaria della fotografia nel quarto di secolo a venire: da un lato, vengono messi in commercio i primi telefoni cellulari dotati di fotocamera e in grado di inviare immagini attraverso la rete, dall’altro il premio artistico più prestigioso e cool del mondo, il Turner Prize, viene conferito per la prima volta a un fotografo, il tedesco basato a Londra Wolfgang Tillmans. 

Il massimo della democratizzazione in contemporanea con il massimo dell’élitarismo. La fotografia attraversa i primi vent’anni del nuovo millennio su questi due binari, vivendo una stagione invero straordinaria, degna delle grandi epoche del passato, dagli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento agli anni Venti e Trenta del Novecento, stagioni segnate, come questa, da cruciali progressi tecnologici nell’ambito degli strumenti e dei mezzi di diffusione e da non meno epocali raggiungimenti nell’ambito del linguaggio fotografico. 

Fotografia Europea 2019 – Chiostri di San Pietro

Chi aveva pensato che la rivoluzione fosse nel passaggio dall’analogico al digitale, avvenuta negli anni Novanta del XX secolo, si era sbagliato, o quanto meno aveva preso in considerazione solo la fase iniziale di quel moto: la vera rivoluzione avviene dapprima nel passaggio dalla macchina fotografica al telefono (si esce di casa sapendo che si potrà sempre scattare una fotografia, sino a quel momento bisognava uscire attrezzati con un apposito strumento) e poi nella possibilità di condividere – potenzialmente con il mondo intero – il risultato di quel gesto, lo scatto, divenuto sempre più semplice. Se il leggendario slogan della Kodak di fine Ottocento recitava “you push the button, we do the rest”, oggi a noi basta toccare lo schermo, e la macchina fa tutto il resto, in tempo reale: realizzazione, distribuzione e fruizione possono coincidere, attraverso un processo che fino a tre decenni fa apparteneva alla fantascienza. 

Contemporaneamente a questa impressionante accelerazione tecnologica, che ha avuto come risultato immediato l’ulteriore democratizzazione della pratica fotografica, trasformando gran parte degli essere umani in potenziali fotografi, si è assistito alla sempre maggiore considerazione culturale ed economica della fotografia; alla smaterializzazione dello schermo del cellulare o del computer ha fatto da contraltare la crescita esponenziale delle misure e del peso delle fotografie dei  maestri esposti nei principali musei d’arte del mondo (gli stessi maestri che utilizzano in chiave creativa le immagini prodotte dalle seeing machines o quelle proveniente dall’infinito archivio rappresentato da internet); alla circolazione gratuita e allo sfruttamento anche economico delle immagini via internet ha corrisposto l’aumento dei valori delle fotografie battute nelle grandi aste internazionali, capaci di superare cifre a sei zeri. 

Per analizzare anche brevemente cause e conseguenze di questa condizione sono stati scritti saggi, inutile qui tentare considerazioni che sarebbero forzatamente troppo sintetiche per tematiche così importanti e complesse; può valer la pena però tentare di immaginare, superato il primo quarto di secolo, cosa possa accadere nel secondo. Viene a sostegno, qui, il ventesimo anniversario di Fotografia Europea, una manifestazione nata nel 2006, che ha costruito nel tempo una sua forte identità e ha raggiunto un ruolo di primo piano tra le manifestazioni di questo genere in ambito internazionale, confermata dalla conquista due anni fa del newyorchese Lucie Award come “Miglior Festival Fotografico dell’Anno”. Ebbene, nel 2006 il termine “fotografia” era ancora considerato – nonostante le novità appena ricordate – come quello più adatto per definire le immagini destinate a trovare forma e concretezza in un oggetto stampato. Ora, l’immagine ha preso il sopravvento sull’oggetto, e la sproporzione tra le immagini scattate e quelle stampate è divenuta talmente grande a favore delle prime che proprio il termine di immagine sta inesorabilmente soppiantando quello di fotografia (sempre a proposito di date, nel 2009 Fred Ritchin pubblica After Photography, saggio che sin dal titolo evidenzia il rivolgimento in corso, e nel 2010 nasce Instagram, piattaforma che segna il definitivo trionfo dell’immagine smaterializzata e della sua circolazione). 

Ragionavamo, tutti, del futuro della fotografia, nel 2006; oggi, ragioniamo tutti del futuro dell’immagine, e lo facciamo a partire da un ospite nuovo, tanto atteso e già famigerato quanto ancora sconosciuto, l’Intelligenza Artificiale. Apocalittici e integrati hanno già cominciato a lanciare e lanciarsi strali dalle rispettive barricate: chi scrive ritiene l’argomento troppo complesso per le sue limitate conoscenze di intellettuale nato poco dopo la metà del secolo scorso – peraltro segnato su questi temi in maniera indelebile dall’oggi quasi tenero, eppur sempre minaccioso, HAL 9000 – e quindi si guarda bene dal formulare giudizi. Certamente di questo si discuterà a lungo nei prossimi venticinque anni, poiché già ora è indubbio che ci si trova di fronte a una nuova rivoluzione nel nostro rapporto con la produzione e con la fruizione delle immagini, e come la storia insegna le rivoluzioni si sa come e perché cominciano, ma raramente si può prevedere quale strada prenderanno. 

Le mostre e i festival possono servire anche a questo, a conoscere e a fornire strumenti per comprendere le novità, a partire dalle riflessioni sul passato per giungere sino a un presente che prova a guardare al futuro.     

Moryiama 2025
For Provoke #2, Tokyo, 1969. © Daido Moriyama/Daido Moriyama Photo Foundation.